I PIEDI DI CARTA

 

  - Buon giorno. - disse il giudice Dario Novelli al custode del palazzo di giustizia, varcando il portone.

  Nenci, il custode, portò, come al solito, la mano al berretto e fece un profondo inchino.

  L'inchino più profondo, per la verità, egli lo riservava al presidente del tribunale. Per gli altri giudici la maggiore o minore profondità dell'inchino, tutte le spalle, metà delle spalle, una sola spalla, la sola testa, un fugace movimento del capo, corrispondeva alla maggiore o minore simpatia che il giudice gli ispirava.  Novelli, nella graduatoria degli inchini, seguiva immediatamente il presidente.

  Era un riconoscimento notevole.

  Quanto ai cancellieri, Nenci si limitava a toccarsi il berretto con un dito. Agli ufficiali giudiziari, invece, rivolgeva un saluto con la mano, sebbene questi, che entravano tutti in macchina e ritti sul busto (c'era da ricordarsi, infatti, che il legislatore li aveva recentemente dichiarati funzionari di gruppo B e questo senza parlare dei loro introiti), ambissero ad un inchino dell'intensità, per lo meno, di quello riservato al più antipatico dei giudici.

  Ma il custode, che prestava servizio nel palazzo di giustizia di quel piccolo capoluogo di provincia da oltre quaranta anni, ricordava ancora i tempi in cui gli ufficiali giudiziari si chiamavano «uscieri» e li stimava, perciò, di un solo, e sottile, gradino più in alto di lui.

  - Ha visto? - disse Novelli, che era solito trattenersi a chiacchierare con lui o all'entrata o all'uscita dal tribunale. - Ha ricominciato a piovere.

  - Non sembra nemmeno che siamo in primavera. - rispose Nenci, scuotendo il capo. - Certo, però, che l'inverno dell'anno scorso...

  Il bottone era attaccato.

  Dall'inverno all'estate, agli anni passati, al passato, alla storia del tribunale: una volta che cominciava, il custode non si fermava più.

  Spesso Novelli era costretto a interrompere i discorsi di Nenci o a piantarlo con un secco, ma affabile:

  - Be', arrivederci.

  Nenci era la storia del tribunale, la continuità del tribunale, il tribunale.

  Erano passati i presidenti, ai giudici erano successi altri giudici, ai cancellieri-capi altri cancellieri-capi, altri cancellieri, ufficiali giudiziari, dattilografe, amanuensi, uscieri. Nenci era rimasto. Egli li ricordava tutti. O quasi.

  - Nel 1930 c'era un cancelliere-capo... come si chiamava? ah, Bartoni. Una carogna. Richiamava i cancellieri anche per un secondo di ritardo.  Voleva che io gli facessi la spia per i ritardatari.  E siccome io non ci stavo, cominciò a sfottermi...

  - E quanti giudici c'erano allora? - si informò Novelli.

  I discorsi di Nenci gli producevano l'effetto di un tuffo nel passato. Gli sfilavano davanti i fantasmi di gente passata, cancellata per sempre dal mondo, che, come ora lui e i suoi colleghi, era vissuta fra quelle mura, fra le stesse carte, con gli stessi gomiti sulle stesse scrivanie, sugli stessi scranni in toga, con identici problemi e, forse, identici pensieri.

  Passata.  E non restava nemmeno un respiro, un respiro solo di essi? Un alito della loro vita... appeso a un angolo della sala di udienza, nascosto fra la polvere dell'archivio?

  Di loro restavano solo i processi istruiti e definiti? Le cause civili trattate? Le tante pagine scritte? Lunghe sentenze di trenta, quaranta, ottanta anni prima...

  Un po' della loro anima doveva certo esservi racchiusa.

  E altri volumi si aggiungevano ogni anno (il cancelliere-capo curava la raccolta delle sentenze e faceva rilegare i volumi in tela con scritte in oro: «Sentenze civili anno 1957», «Sentenze penali anno 1958» e così via, da conservare in perpetuo: la legge vuole che le sentenze si conservino, è terribile, per sempre) e fra quelle pagine tanti guai, tante pene, tante miserie... e pezzettini d'anima dei giudici, rimasti attaccati alla carta. Anche della sua. Pezzettini d'anima: noia, perplessità, gioia d'un lavoro ben fatto, dubbi, ambizioni di carriera...

  - Nel 1930? - lo svegliò Nenci dal suo fantasticare. - Eh, signor giudice, otto.  Otto come siete ora.

 

* * *

 

  L'organico del piccolo tribunale, in tanti anni nonostante l'aumento dei processi, non è mutato.  E il numero dei magistrati è sempre rimasto inferiore all'organico.

  Pochi anche i cancellieri. Perciò non c'è nemmeno da pensare a farsi assistere da un cancelliere nelle varie udienze. Fortunatamente è divenuta giurisprudenza costante ritenere che il codice prescriva, sì, l'assistenza del cancelliere, ma così, per modo di dire.

  Però, nei vari verbali, è bene non scrivere la solita frase che il giudice è «assistito dal cancelliere sottoscritto» e, se c'è già sullo stampato, è meglio cancellarla.

  Una volta un avvocato piantagrane, non sapendo a che santo votarsi per tirare alle lunghe una causa che si metteva male, pensò di sporgere denunzia al procuratore della repubblica, perché in un verbale di causa di un pretore del circondario figurava la frase: «Davanti a Noi Pretore, assistito dal cancelliere sottoscritto», mentre il cancelliere, ovviamente, non c'era.

  In calce al verbale mancava la firma del pretore. Se l'era scordata. Una vera fortuna: non poteva essere incriminato di falso in atto pubblico perché egli non aveva firmato e, dunque, non aveva attestato un bel niente. Il cancelliere, che aveva sottoscritto il verbale con una sigla, se la cavò precisando che egli siglava tutti i verbali per caricarli sul registro cronologico e che la sua attestazione stava a significare non che il contenuto del verbale corrispondesse a verità, ma che quello era un verbale di causa «caricato» su un registro: il che, non c'è niente da dire, era vero.

  L'autore del verbale, che era l'avvocato avversario del denunciante, se ne uscì anche lui dal rotto della cuffia, perché, tutto sommato, egli non era pubblico ufficiale e non aveva il potere di attestare alcunché.

  La cosa, insomma, andò miracolosamente liscia per tutti. Ma, da allora, scomparve dai verbali ogni accenno all'assistenza del cancelliere.

  In altri tribunali della repubblica è ancora in uso: è un preziosismo più che un falso.

  In fondo, al giudice, più che la presenza nelle varie udienze, occorre l'assistenza del cancelliere nel tenere in ordine i fascicoli delle cause e in regola i registri, nello sbrogliare i mille impicci che intralciano e appesantiscono il lavoro giudiziario.

  La precisione nella conservazione degli atti di una causa o di un processo non è da sottovalutare. I fascicoli infatti, hanno il vizio di infilarsi l'uno dentro l'altro e le carte varie, che devono via via essere allegate, pare lo facciano apposta ad andare a finire in fascicoli che non le riguardano.

  C'era stato un periodo, in cui, governando la cancelleria civile di quel piccolo tribunale un cancelliere anziano, piuttosto stonato e dichiarato ormai impromovibile, le carte e i fascicoli delle cause civili face-vano assolutamente il comodo loro. Trovare la causa, nel giorno dell'udienza, era una vera impresa.

  Lavoro ce n'è per tutti, anche se non nella stessa misura.

  Inversamente proporzionale alla quantità di lavoro è l'orario di uscita dall'ufficio, la sera. Prima tagliano la corda gli uscieri, poi i cancellieri, poi le dattilografe, poi i giudici e, infine, il presidente.

 

* * *

 

Bisogna rimboccarsi le maniche e arrivare fin dove si può: così la pensa Dario Novelli. Egli è il giudice addetto all'ufficio istruzione dei processi penali. E dice spesso, ricorrendo alla fraseologia popolare, «quello che non si può mietere, si strappa», intendendo dire che, anche se non si può arrivare a far tutto con punti e virgole, l'interessante è fare.

  Novelli ha quarantasette anni e attende la promozione a consigliere di corte d'appello. Per anzianità, ormai.  E' questione di aspettare qualche anno ancora. E' inutile illudersi coi concorsi per titoli: gli manca non soltanto il tempo per farseli i titoli, ma anche quello per cercarli. In quali fascicoli, sotto quale polvere sono andate a finire le sentenze che ha scritto e che potrebbero dignitosamente figurare come «titoli»?

  Ha anche lui la sua razione di cause civili.  Un po' meno degli altri, tenuto conto del suo carico di istruttorie penali. Così, tiene anche lui, il mercoledì, le udienze civili di trattazione.

E' un giorno simpatico il mercoledì mattina in tribunale.  Gli avvocati del capoluogo e del circondario ci sono quasi tutti: una quarantina per lo meno. Entrano ed escono dai gabinetti dei vari giudici, i cui usci restano tutta la mattina aperti.

  Ogni giudice sta al suo tavolo col suo pacco di cause, che oscillano da un minimo di venti a un massimo di sessanta, e aspetta che i due avvocati di ciascuna causa riescano a trovarsi e a mettersi d'accordo sul da fare.

  Gli avvocati si cercano da una stanza all'altra, si chiamano da un capo del corridoio all'altro, discutono animatamente fra loro o con qualche cliente, che in quel bailame sembra un pesce fuor d'acqua, fumano, chiacchierano coi giudici di politica, di notizie di cronaca nera e, anche, di attrici.  Non mancano le barzellette. C'è un avvocato che ha in serbo per ogni mercoledì una barzelletta nuova, il più delle volte salace.  La barzelletta passa da un ufficio all'altro e spesso, quando non è troppo sconcia, arriva anche nell'ufficio del presidente. Il quale abbozza, tutte le volte, un mezzo sorriso di distratta superiorità. E' un filosofo.

  Anche nell'ufficio di Novelli i soliti discorsi: «Che facciamo?  La rinviamo di un mese?» - «Signor giudice, una data di udienza vicina, per favore». - «Qui occorre risolvere quella pregiudiziale. Che fa?  Si riserva?» - «Le ammette tutte le prove? Ci scrivo: ammesse le prove hinc-inde?» - «Meglio mi riservo, voglio vedere un po'... ah, guardi, avvocato, che per quella pregiudiziale bisogna andare al collegio». - «Ha letto sul giornale di quel tale che...» - «Possiamo rinviare di un mesetto?» - «Ma è una causa vecchia quanto Matusalemme!» - «Per quando possiamo mandarla al collegio?» - «Che diceva lei, avvocato, di quella notizia sul giornale?» - «Sa, giudice, che quella sentenza... quella tra il Comune e il proprietario di quel bazar, si ricorda?» - «Mercoledì prossimo lei tiene udienza civile?» - «Ah, sì, mi ricordo». - «E' stata riformata dalla corte d'appello». - «Fumi una di queste, signor giudice, è buona». - «Grazie, sto fumando». - «E la butti. Sono di contrabbando queste. Ma sa com'è... mi capita spesso di difendere contrabbandieri...»

  Non nuoce all'attuazione della giustizia la confusione del mercoledì mattina: nessuna decisione di una certa importanza viene, infatti, presa. Per ammettere delle Prove o per qualsiasi provvedimento istruttorio, i giudici si riservano di emanare successivamente un'ordinanza.

  Nel codice c'è scritto, quante cose ci sono scritte!, che l'ordinanza deve esser fatta entro cinque giorni dall'udienza.

  Dicono che un giudice, una volta, ci mise un anno per «sciogliere la riserva». Ma forse si tratta di uno dei soliti pettegolezzi.

  In fondo, il mercoledì è per i giudici una pausa, un momento di respiro. Un po' di... riposante lavoro di ordinaria amministrazione, senza problemi da risolvere e gravi decisioni da prendere.

  Per Dario Novelli è poi un cambiamento... come dire? di registro, che pare interrompere una monotona musica: furti aggravati e truffe, se non in grande, in discreto stile, rapine e peculati, sia pure di medio taglio, falsificazioni e omicidi colposi e, di tanto in tanto, volontari.

 

* * *

 

  Novelli aprì il suo ufficio e guardò subito sul tavolo il pacco delle cause: era mercoledì.

  Non erano molte quella mattina. Andò ad accertarsi, prima di togliersi il soprabito, se il presidente gliene avesse mandato di nuove. No, erano una diecina di fascicoli di vecchie cause. Le scorse. Di alcune ricordava, press'a poco, il contenuto, di altre sapeva appena il cognome delle parti, a furia di ripeterlo e scriverlo.

  Quanti interessi in conflitto in quegli affastellamenti di carta. Carta carta carta.  Tutto è carta.  Chissà che anche il cuore, a un certo punto, non diventi di carta.                             

  Entrarono i primi avvocati. Rimescolarono nel pacco delle cause per cercare il fascicolo che li interessava e incominciarono a chiacchierare.

  Novelli cominciava già a godersi la sua normale udienza di trattazione civile, quando ricevette una telefonata dal procuratore della repubblica.

  - Novelli! - disse il procuratore. - Abbiamo un morto.  Te lo passo alla formale.

  - Ma scusa, - rispose Novelli, che gli dava del tu (ed era questa, sebbene i due magistrati fossero coetanei e dello stesso concorso, grande prova di stima da parte del procuratore: tra un consigliere d'appello, che è il grado di un procuratore, e un giudice corre, infatti, una sensibile distanza) - perché non te lo tieni tu alla sommaria?  Ma è possibile che mi devi rifilare tutti gli incidenti stradali?

  - Ma no, che hai capito?  E' un omicidio volontario.

  - Ma sto facendo udienza civile, ora.  Tenetevelo voi per ora.  Si sa poi chi è stato?

  - No, per ora no.

   - E allora? Mandaci il sostituto intanto. E poi, quando si scopre l'autore, mi passi il processo in formale.

  - Il sostituto c'è già andato. Ma è bene che te ne occupi subito. Alla formale il processo deve ben passarci, prima o poi. Rinvia il resto delle cause e vieni da me. T'aspetto.

  Novelli sospirò. Pazienza. Ci mancava solo l'omicidio per scombinare tutti i suoi piani di smaltimento dell'arretrato. Prese un foglio di carta, ci scrisse sopra: «Tutte le cause che non sono state trattate vengono rinviate d'ufficio alla prossima udienza», si scusò con gli avvocati presenti, che uscirono, e andò alla porta per attaccarvi il foglio di carta.

 Gli sarebbe occorsa, per attuare questo progetto, una puntina da disegno. Ma è noto che il luogo più sfornito di oggetti di cancelleria è la cancelleria di un ufficio giudiziario. Sciortino, il cancelliere addetto all'ufficio istruzione, rise sardonicamente alla richiesta della puntina da disegno e gli diede uno spillo.

  Novelli tentò di attaccare il foglietto alla porta con lo spillo servendosi delle sole mani.  Non ci riuscì.

  - Guardi se c'è fra i corpi di reato un martello. - disse al cancelliere.

  Niente martelli.  Ma il cancelliere tirò fuori un piccolo «piede di porco».

  - Provi con questo.

  Lo spillo si piegò e ci andarono di mezzo due dita, ma in qualche modo il foglio rimase attaccato.

  Il procuratore mise rapidamente Novelli al corrente dell'affare: era stato ripescato dal fiume un cadavere, a una diecina di chilometri dalla città.

  - Dio santo! - interruppe Novelli con un vivo senso di disgusto. - Come puzzano gli annegati! Ma sarà un suicida! Cosa c'entra il giudice istruttore?

  - Eh no, caro il mio Novelli non t'avrei importunato. Già dall'esame esterno del cadavere si è avuta la sensazione del delitto. Presentava una ferita alla schiena da arma da taglio, un pugnale, un coltello...

  - Chi era? E' stato identificato?

  - Sì, era un ragioniere, certo Compelli. Era scapolo. Viveva con una sorella. Per ora non si sa altro.

 

* * *

 

  Si era già sotto Pasqua. Quell'anno Novelli, con quel morto fra i piedi e l'assassino che poteva cadere, da un momento all'altro, nelle mani della polizia, non poteva mettersi in mente di lasciare la città neanche per un giorno.

  Per parecchi anni, particolarmente dopo la perdita di sua moglie, egli e suo figlio erano sempre andati a trascorrere le grandi feste fuori di casa.

  Ricordava la prima Pasqua in cui s'erano trovati soli.

  Sul treno egli guardava suo figlio. Trepidava, sperando di non vederlo più chiuso nel suo cupo dolore di bimbo e di interessarlo al mondo esterno, alle cose nuove che vedeva.

  Guardava, poi, l'incantevole mutare della riviera: panorami che un tunnel sembrava all'improvviso ingoiare, forse per renderli più belli nella loro fuggevolezza.

  La sua prima età era trascorsa tutta in riva al mare. Quanti ricordi.

  Gli toccava vivere, ora, si diceva, solo per suo figlio e avrebbe voluto tornare a rigustare e a risoffrire con lui la vita.

  Una delle più tormentose aspirazioni che la paternità possa dare. E delle più deluse.

  Quando, al ritorno da quella breve vacanza, il treno aveva cominciato a snodarsi per la pianura, gli era parso di avvertire le stesse sensazioni che avvertiva Sergio. Forse pensavano ai giorni uguali, mono-toni che li attendevano.

  Nella pianura sconfinata si inseguivano, senza posa, i filari di alberi.

 

* * *

 

  Tutto questo po' po' di pensieri e ricordi passò in un attimo per la mente di Novelli: neanche il tempo di tornare nel suo ufficio.

  - Ci abbiamo il morto. - disse passando davanti al tavolo del cancelliere.

  Sciortino sbuffò. Stava passando a statistica un pacco di «ignoti» e gli spiaceva, per una cosa così disgustosa come una autopsia, interrompere quel lavoro pulito.

  Lavoro. Non si pensi, infatti, che i vari reati, di cui non si scopre l'autore, non diano ugualmente da fare agli uffici giudiziari. Un da fare spaventosamente sproporzionato rispetto all'effettiva applicazione della giustizia.  Anzi, poiché giustizia non se ne attua per niente, il lavoro non è solo sproporzionato, ma insensato.

  Questura e carabinieri mandano giornalmente alla procura della repubblica i vari rapportino relativi a tutte le biciclette e le macchine rubate, ai pollai svuotati, a qualche rapinetta. Tutti i rapporti recano, a conclusione, la frase: «Sono in corso diligenti indagini per la scoperta degli autori e si fa riserva di dare notizia dell'esito», ma solitamente non hanno alcun seguito. Lasciano, invece, prevedere un seguito i rapporti in cui ci sta scritto, invece di «sono in corso diligenti indagini», la frase «fervono attive indagini».

  Il segretario della procura, comunque, sia che le indagini fervano sia che non fervano, avuti i rapporti, li carica, li scarica, li ricarica e li riscarica su vari registri, finché partono alla volta dell'ufficio del giudice istruttore.

  Quivi giunto, il pacco degli «ignoti» subisce la stessa trafila: si carica, si scarica e così via, finché il giudice istruttore appone una firma su un modulo a stampa, denominato «sentenza», dove sta scritto che il fatto è accaduto, ma si sconoscono gli autori.  Altre registrazioni, altri scarichi e finalmente il tutto va a finire in archivio.

 

* * *

 

  - Dov'è? - chiese Sciortino.

  - Eh, bisogna procurare una macchina - rispose il giudice Novelli - è a una diecina di chilometri da qui, vicino al fiume.

  Il problema del mezzo di trasporto è, per l'ufficio istruzione dei processi penali, uno dei più difficili da risolvere. Ci sarebbe la soluzione di una macchina personale del giudice. Ma la benzina? Per avere dallo Stato un rimborso di L. 30 a Km. (la benzina ci starebbe abbondantemente dentro), occorre che la località raggiunta disti dalla sede dell'ufficio almeno 8 Km. e non deve essere servita né da treni né da auto-servizi. Diversamente il rimborso è di L. 1.20 (lire una e centesimi venti) a Km.  Si aggiunga a questo che l'assenza dall'ufficio deve essere superiore alle cinque ore. Altrimenti neanche un centesimo di rimborso.

  Non resta, perciò, che andare in prestito.

  -Telefoni al professar Drago. - disse, infatti, il giudice al cancelliere. - Verrà lui per l'autopsia.  Andremo con lui.

  - E poi cosa esponiamo - obiettò il cancelliere - nella trasferta? Con «mezzi propri»?

  - Ma non sappiamo ancora se staremo fuori più di cinque ore!

  Il cancelliere fece una smorfia: gli seccava questa pignoleria del giudice.

  - E se ci stiamo cinque ore meno un quarto? - disse per mettere in imbarazzo il giudice.

  - Be', - rispose Novelli - vedremo.

  Si aprì la porta della cancelleria ed entrò, senza chiedere permesso, un cronista.

  - Posso parlare col giu... - stava per dire ma si interruppe vedendo che la persona che egli cercava era lì. - Permette due parole? - aggiunse.

  - Dica.

  - Può dare qualche particolare sul delitto alla stampa?

  - Ne so quanto e forse meno di lei. - tagliò corto Novelli. - Le chiedo scusa, - aggiunse poi con un sorriso - stavo parlando di cose d'ufficio col cancelliere.

  La gente non sa, non può conoscere le piccole difficoltà, i minuscoli problemi che comporta il muoversi dell'ingranaggio giudiziario. C'è un assassino, si pensa, basta, si corra, si cerchi, si accerti, si indaghi. Il giudice, invece, non deve correre.

  Entrò, a questo punto, l'usciere che portava il fascicolo dell'omicidio in questione dalla procura della repubblica. La copertina conteneva solo tre carte: una segnalazione del ritrovamento del cadavere fatta per fonogramma dai carabinieri, un verbale di descrizione esterna del cadavere eseguita in presenza del sostituto e un minuscolo rettangolo di carta (il risparmio di carta è fondamentale nella vita dei tribunali) su cui, con illeggibile grafia, il procuratore diceva di rimettere gli atti al giudice istruttore.

  Poche carte.  Ma, prima dell'arrivo di queste carte, il giudice non avrebbe dovuto muovere un dito su tale affare.

  Il giudice deve aspettare che le carte arrivino, maturino.  Vanno con il ritmo con cui le carte devono andare e camminano coi loro lenti piedi di carta.

 

* * *

 

  L'autopsia fu fissata per la mattina successiva.

  Il pomeriggio Novelli lo trascorse a colloquio col commissario di P.S., il dottor Trizzuto, che venne a riferirgli delle prime indagini sul delitto.

  Trizzuto lamentò che la squadra dei carabinieri stava conducendo indagini per proprio conto, che un agente aveva saputo degli interrogatori fatti in gran segreto dai carabinieri e che non era questo il modo di agire.

  Comunque, aggiunse, stavolta sarebbe stata la questura a fare le scarpe ai carabinieri per il semplice fatto che l'assassinato era un pederasta, che, perciò, il delitto era frutto di quell'ambiente e che la que-stura i pederasti li aveva tutti sottomano. Quanto meno, tutti elencati. E qualcuno di essi faceva anche l'informatore.

  Novelli congedò il commissario e convocò il maresciallo che comandava la squadra dei carabinieri.  Si fece riferire l'esito delle indagini svolte e gli riferì le notizie avute dalla questura.  Poi riconvocò il commissario e gli riferì le notizie avute dai carabinieri.  Era l'unico mezzo per far sì che le due polizie lavorassero per lo stesso scopo.

  Tornò a casa un po' annoiato.

  Per la mattina successiva, il giudice, il cancelliere e il perito settore si erano dati convegno davanti al portone del tribunale.

  Essendo ancora presto, quando uscì di casa, Novelli pensò di coprire il non lungo percorso da casa sua in tribunale a piedi.

  Una mattina piena di sole.  Non aveva nessuna voglia di occuparsi di cadaveri e omicidi. Era uno di quei giorni in cui più vivo avvertiva il bisogno di chiudersi in sé e pensare.

  Pallidi fantasmi, che svanivano nelle nebbie del passato, frammisti ad alcuni lucidi profili, che si stagliavano nell'ombra, erano tutti i ricordi dei pochi anni di vita felice che il destino gli aveva concesso. Li vedeva sfumare man mano nel confuso orizzonte della dimenticanza e avrebbe voluto trattenerli, conservarli gelosamente nel cuore.

  Ma spesso invano richiamava alla mente i giorni lieti e brevi della vita in due. Ogni ricordo era intossicato dallo strazio della perdita.

  Mentre Evelina lasciava la casa per sempre, egli serrava al petto, singhiozzando, il suo dono immenso: un bimbo di sei anni, nei cui occhi stava uno sgomento più grande della sua età.

  Sergio si era assuefatto presto a non collegare più alla parola «mamma» un'immagine di tenerezza e di amore vivente e a sostituirvi l'immagine di un essere lontano e invisibile, oggetto di culto.

  Poi, col passare degli anni, gli era parso che nel culto verso la mamma perduta prendesse posto una nota dolorosa che prima non esisteva, l'eco di una sorda amara impotente rivolta verso le forze oscure che gli avevano negato l'affetto materno.

  il suo amore di padre era mai bastato a supplire.

  Ma forse era meglio non pensare. Lavorare, lavorare.  Nella borsa aveva il fascicolo di una causa, che, tra una pausa e l'altra, si riservava di studiare.

 

* * *

 

  Il cadavere era adagiato sul tavolo di marmo dell'obitorio di un piccolo cimitero di campagna.

  Vi si giunse più tardi del previsto. A un certo punto era stato necessario tornare indietro, perché il necroforo si era dimenticato di caricare sulla macchina la cassetta con i ferri.

  - Cretino, bestia! - si era messo a gridare il professar Drago, primario dell'istituto di anatomia patologica. Non ammetteva dimenticanze. Ed era la persona Più distratta della terra.

  - Spogliatelo, avanti! - ricominciò a gridare rivolto al necroforo e al custode del cimitero.

  Costui esitava ad entrare nell'obitorio (va bene che lui aveva una certa dimestichezza coi morti, ma quelli belli murati o messi sotto terra o, quanto meno, ben conservati nelle loro casse, non con roba del genere, esposta così, rigonfia e puzzolente).

  - Acqua, acqua, secchi d'acqua! - gli gridò allora il professar Drago in un orecchio. - Avanti, muoviti, lumaca. E telefona al comune che portino qui un litro di alcool e mezzo litro, almeno, di acqua di colonia.  Se no, la puzza ci farà soffocare tutti!

  Il povero custode si mosse.  Ma era così stordito, che non sapeva esattamente dove andava.

  Si avvicinò di mezzo passo il vicebrigadiere dei carabinieri. Stava a debita distanza dall'obitorio e piuttosto defilato, in modo che non gli arrivasse la puzza e l'immagine del morto restasse nascosta.

  - Se vuole, signor giudice, - disse -  che me ne occupi io di far portare quello che ha detto il professore...

  - Sì, sì - rispose Novelli - vada. Ah, senta, ha provveduto a convocare due persone, due parenti del morto per il riconoscimento?

  - Sissignore, sono davanti al cancello del cimitero. Sono uno zio e un cugino. La sorella non ha voluto venire.

  Il custode cominciò a portare i secchi d'acqua.

  Il necroforo, con mano abile e svelta, come manovrasse un tronco d'albero, spogliò il cadavere dei pochi brandelli di indumenti rimastigli addosso e lo lavò buttandogli addosso con violenza cinque o sei secchi d'acqua.

  Senonché nell'obitorio mancava un buco per lo scolo dell'acqua.

  - Animali! - ricominciò a gridare il professore.

  Ma non si capiva con chi ce l'avesse.  Forse con chi aveva costruito l'obitorio.

  E intanto che il professore gridava ancora: - Segatura, un sacco di segatura almeno, qui sta diventando un pantano. - il necroforo tirò fuori dalla cassetta uno scalpello e un martello e rapidamente fece un buco in un angolo della stanza.  L'acqua defluì.

  - Faccia venire - disse Novelli rivolto al carabiniere che stava davanti al cancello del cimitero - le persone che devono riconoscere il cadavere.

  I due parenti entrarono.

  - Consapevoli - disse Novelli ad alta voce, quando furono a una diecina di passi di distanza - della responsabilità che col giuramento assumete... - e completò la formula del giuramento in fretta e quasi fra sé e sé.

  Né l'uno né l'altro capirono quello che il giudice, anzi quella persona importante, perché essi non sapevano chi fosse, aveva detto.  Perciò tacquero.

  - E dite: lo giuro! - ingiunse loro Novelli.

  Essi lo dissero con un fil di voce.

  - E' lui? Piero Compelli?

  - Sì. - risposero rapidamente e stavano per andarsene. Volevano nascondere la commozione.

  - Aspettate - disse il cancelliere, che si era piazzato con un tavolinetto davanti alla porta dell'obitorio. - C'è da mettere le firme sul verbale.

  Novelli aprì il giornale locale: la pagina della cronaca era interamente dedicata al delitto. Vi campeggiava l'immagine dell'assassinato. Nel delineare la personalità della vittima il cronista faceva chiaramente intendere che genere di vita privata conducesse il Compelli. Troppe «amicizie», troppi sconosciuti forestieri che bazzicavano nella sua casa, troppe gite a destra e a sinistra.

  Il giudice diede poi un'occhiata al cadavere. Era in condizioni migliori di diversi altri annegati che egli aveva dovuto vedere nel corso della sua carriera. Pare non fosse rimasto in acqua più di quarantotto ore.

 

* * *

 

  - Cadavere di sesso maschile - cominciò a dettare a verbale il professore - dell'apparente età di anni cinquanta... - Descrisse i vari segni di contusioni che presentava e si soffermò poi nella descrizione minuziosa della ferita che presentava alla schiena.

  Novelli aprì la borsa, ne tirò fuori il fascicolo della causa civile che si era proposto di studiare, accese una sigaretta e andò a sedersi sopra una tomba, che, con la sua lastra di marmo pulita e levigata, costituiva, l'unico sedile possibile.

  Era una causa di separazione personale di coniugi. Lesse il verbale delle prove orali, interrogatori delle parti e testimonianze, assunte. Ricordò le due famiglie schierate in lotta l'una contro l'altra. Le invettive che si erano scagliati contro i due coniugi. Le lagrime. I suoi pazienti sforzi per una riconciliazione e perché le prove, almeno, restassero nel loro naturale binario, senza degenerare in discussioni su pettegolezzi e in litigio.

  Scartoffie inutili, pensò. Il risultato è, sempre, uno solo: sanzionare definitivamente l'infelicità di due esseri.  Beghe, dissidi, dolori: il giudice ci guazza in mezzo. Poi tutto sfuma in una sentenza ben congegnata, a volte ben scritta. Le beghe diventano interpretazioni discordi di un articolo di legge, i dissensi si mutano in due opposte tesi di diritto, i dolori in un fatto umano che attende di essere inquadrato in uno schema giuridico. E lo trova, lo schema, il giudice. E tutto è a posto.

  Intanto che il necroforo dava quei pochi rapidi tagli, che mettono allo scoperto la cavità toracica e quella addominale del cadavere sottoposto ad esame autoptico, il professore si avvicinò al giudice con una boccetta di acqua di colonia.

  - Mi dia il suo fazzoletto.  La puzza già comincia ad arrivare fin qui.

  Il Professore inzuppò il fazzoletto del giudice.

  - Dica un po', - riprese - a che punto è l'istruttoria del processo Daletti?

  Si trattava di un processo per aborto, in cui era implicato un medico amico del Professor Drago.

  Che dovrebbe fare un giudice per adempiere pienamente il suo dovere? Estraniarsi dal mondo, non avere amici, relazioni, conoscenze? Chiudersi sotto una campana di vetro con le sue carte? Certo sarebbe, così, immune da qualsiasi influenza, ma si farebbe un concetto tutto sbagliato della vita e del mondo.

  Dario Novelli diede al professore assicurazioni piuttosto vaghe che, senza impegnarlo, lasciavano uno spiraglio aperto alla speranza.

  Il professore infilò i guanti, prese il bisturi e cominciò a sezionare gli organi che il necroforo aveva, nel frattempo, estratto.

 

* * *

 

  La scoperta di una mezza lama di coltello infissa in uno dei lobi del polmone sinistro diede la prova piena del delitto. La morte era intervenuta per soffocamento. Era evidente che l'assassino aveva buttato in acqua la sua vittima ancora viva. I segni di contusione riscontrati negli arti e nel tronco dimostravano che c'era stata prima una colluttazione fra l'autore del delitto e l'ucciso.

  Mentre il professore faceva constatare i suoi rilievi al giudice che, col naso tappato dal fazzoletto, si curvava a guardare, arrivò il commissario.

  - Che novità abbiamo? - chiese Novelli.

  Trizzuto disse che era stata interrogata parecchia di «quella» gente, ma che non si era cavato fuori nulla.

  - Ah! - disse concludendo. - Non si può lavorare, non si può lavorare più!  In casi del genere, scusi, signor giudice, in altri tempi... in tempi in cui si ragionava, si schiaffavano dentro una ventina di quei porci... magari qualche scappellotto... senza torcergli un capello, per carità, ma qualche ceffone, così... e lei avrebbe visto se nel giro di due o tre giorni non saltava fuori l'assassino.

  - Ma, dottore, - rispose Novelli - lei li fermi, se ci sono individui gravemente indiziati.

  - Ah, ah - ghignò il commissario - lei vuole sfottermi, scusi.  Prima i gravi indizi e poi il fermo. Ma, per favore, li lasci dire ai teorici, ai professori queste cose. Gli indizi bisogna farglieli sputare fuori a quella gentaglia. E soltanto fermandoli e mettendogli un po' di paura...

  Be', la legge è quella che è. - lo interruppe Novelli. - Ma abbiamo altre strade, altre possibilità.  Ancora abbiamo delle carte in mano... C'è la perquisizione in casa del Compelli da fare ancora. Vedrà che salterà fuori qualche cosa di interessante.

  Ah, giusto, per la perquisizione, delega me, vero? Il questore anzi mi ha detto di eseguirla stamattina stessa...

  Vide il giudice guardarlo sorpreso.

  - Certo, - s'affrettò a completare - previa sua autorizzazione. Magari lei me la dà verbalmente, poi il cancelliere mi prepara il decreto firmato.

  Sarebbe bene che il questore, pensò il giudice Novelli, si facesse... ma non completò il pensiero ed è quindi impossibile riferirlo per intero.

  - No, no - disse ad alta voce - è questione di qualche ora ancora. Andrò io stesso per la perquisizione.  Ci verrà, certo, anche lei.

 

* * *

 

  In genere i periti settori, pur non dimenticando di essere ausiliari della giustizia e chiamati, quindi, a rispondere a precisi quesiti tendenti ad accertamenti processuali, non possono fare a meno di essere anche quello che sono, scienziati o, per lo meno, amanti della scienza del corpo umano.

  Perciò, intanto che ci sono, si soffermano a guardare tutte le peculiarità degli organi esaminati e son contenti di scoprire, di esaminare qualche anomalia, qualche bizzaria della natura.

  Una valvola mitralica mal congegnata, un'aorta difettosa, un processo tubercolare nascosto, una neoplasia in posti impensati fanno lanciare agli anatomo-patologi grida di gioia. Così, spesso, le cose vanno un po' più per le lunghe. Non avendo, quella volta, il professar Drago trovato alcunché di interessante per la scienza medica, concluse piuttosto rapidamente le sue ricerche e con sveltezza e precisione dettò il verbale al cancelliere.

  Il necroforo, intanto, ricacciato alla rinfusa, dentro le cavità precedentemente svuotate, tutto quanto era stato sciorinato sul tavolo anatomico, ricuciva, con rapide agugliate di spago, i tagli operati.

  Giunse, a questo punto, il maresciallo dei carabinieri piuttosto trafelato e con gli occhi raggianti. Si avvicinò al giudice e al commissario che erano rimasti a chiacchierare.

  Il commissario stava spiegando al giudice la camorra che c'è, sotto sotto, nelle promozioni, non senza porre l'accento sulla grave ingiustizia di cui era rimasto vittima lui nell'ultima infornata di promossi al grado ottavo.

  Il maresciallo esitava a parlare: gli scocciava la presenza del commissario.

  - Ha qualcosa da riferirmi? Dica, dica pure. - fece Novelli.

  In quei due giorni i carabinieri avevano lavorato sodo.  Era stato scoperto il luogo del delitto, sempre lungo il fiume, a cinque o sei chilometri più a monte della goletta in cui il cadavere era stato ripescato.  Nella scarpata era stato trovato il coltello spezzato, la cui punta era rimasta infissa nel corpo della vittima.

  Il coltello, che il maresciallo aveva, con la massima cura, sistemato in una scatola, era completamente incrostato di fango, a causa delle recenti piogge.  Nessuna speranza, perciò, di «esaltare» impronte digitali.

  La punta estratta dal corpo della vittima combaciava perfettamente col resto del coltello trovato.

  Era veramente un primo notevole passo nelle indagini: la scoperta dell'arma e del luogo del delitto.

  Il maresciallo, da lontano, fece un segno affermativo con la testa a un cronista che aspettava di sapere se ciò che era stato trovato era veramente il corpo di reato. L'indomani la stampa avrebbe parlato di questo successo dei carabinieri.

  Il commissario non diede il minimo segno di disappunto. Soltanto si morsicò, rapidamente, il labbro inferiore.

 

* * *

 

  Per tornare in città il giudice salì sulla macchina della questura. La fantasia del commissario, lettore appassionato di gialli, cominciò, durante il viaggio, a sbrigliarsi. Stabilito un determinato movente. -Perché è il movente, signor giudice, è il movente che bisogna per prima cosa appurare. - Egli costruiva nei minimi particolari il delitto.  Poiché moventi se ne potevano accettare più di uno: la rapina, il ricatto o la follia di un pervertito, svariate erano le ricostruzioni di Trizzuto.

  Novelli ascoltò dapprima il commissario, poi non poté fare a meno di distrarsi.

  Non capiva perché un caso così grave, di cui egli aveva il dovere di interessarsi, non riusciva a scuoterlo da quel senso di stanchezza, di apatia, che da un po' di tempo si sentiva addosso.

  I rumori assordanti velano a poco a poco la perfezione dell'udito. La sensibilità umana del giudice, forse, si ispessisce via via lungo la carriera.

  Si volse a guardare la campagna. Tutto fiorito. Il pensiero si fermò ad una primavera lontana. La primavera in cui era sorto l'amore fra lui ed Evelina.

  Ricordi. Immaginava che si vivesse esclusivamente di essi solo dopo varcati i settanta anni. Ma la vita non conosce termini di scadenza e di decorrenza, come quelli che gli uomini hanno scritto sui codici, e non sottostà, evidentemente, a regole fisse.

  Si era convenuto fra il giudice, il commissario e il maresciallo di trovarsi in tribunale alle quattro dello stesso pomeriggio per recarsi in casa dell'ucciso ed effettuare la perquisizione domiciliare.

  Novelli arrivò in ufficio circa mezz'ora prima. Trovò Sciortino intento a compilare moduli per la liquidazione della trasferta. Sono pratiche che hanno diritto di precedenza assoluta.

  Vi diede un'occhiata.

  - Non ci metta l'indennità chilometrica con mezzi propri - disse. - Mi eviti delle discussioni penose col presidente, per favore.

  - Ecco - sbottò il cancelliere - qua siamo tutti succubi di Costaro, quel boia.

  Costaro era il cancelliere addetto alla registrazione delle spese di giustizia e quindi anche delle indennità di trasferta.

  - Non si può fare nulla in questo tribunale, senza i beneplacito di quello lì. - continuò Sciortino.

  - La smetta, via! - disse Novelli annoiato.

  Se c'era una cosa che gli dava un senso di soffocazione, erano proprio queste continue, piccole beghe fra un ufficio e l'altro.

  Alle quattro, puntuale, arrivò il maresciallo. Davanti al portone del tribunale c'erano la macchina dei carabinieri e quella della questura. Novelli prese posto su quella dei carabinieri.  Bisognava seguire un certo turno anche nella scelta della macchina.

  Passarono dal corso principale.

  - Aspetti, fermi un momento, - disse Novelli al carabiniere autista - devo dire una parola a mio figlio.

  Sergio passeggiava con due amici.

  - E i compiti? Non hai compiti stasera?

  - Ho già studiato, un poco, papà.  Prendo un po' d'aria e me ne torno a casa subito.

  Suo figlio. Chi lo capiva più? Dov'era quella confidenza che egli si era illuso di stabilire fra loro?

  Ricordava una passeggiata in montagna, fatta tanti anni prima. Sergio doveva avere undici o dodici anni.

  Era uno degli ultimi giorni di villeggiatura.

  Il sole rompeva appena le brume del mattino. La stradetta costeggiava un corso d'acqua. Poi, valicato un ponte di legno, si inoltrava in un bosco.

  Il serrato cinguettio era interrotto, a intervalli, da un grido rauco, simile al chiricchichì di un galletto. Sembrava che gli altri uccelli ascoltassero. Poi riprendevano il loro canto.

  Alcuni corvi, improvvisamente, sorvolarono le più alte cime del bosco. Gracchiavano fragorosamente, senza ritegno.

  Il bosco intero tacque per lo spavento.

  Erano le prime voci dell'autunno.

  Egli aveva pensato al poco ritegno con cui il mondo degli adulti assorda e turba il cuore dei piccoli.

 

* * *

 

  C'è qui il giudice istruttore. - annunziò il maresciallo alla sorella dell'ucciso, consegnandole la copia del decreto di perquisizione domiciliare.

  - Si calmi, signora, - aggiunse Novelli - è nell'interesse della giustizia. Se crede, può chiedere l'intervento di un avvocato che assista alle operazioni.

  - Che bella scoperta questa! - disse Trizzuto all'orecchio del giudice. - Noi dovremmo stare legati ai comodacci dei signori avvocati.

  - Be', - disse Novelli - che ci vuol fare?

  Ma non aggiunse altro.

  Per un giudice meno parla, meglio è.

  Il maresciallo, intanto, senza attendere di farselo dire da nessuno, individuata, Dio solo sa come, la stanza del Compelli, aveva preso a rimescolare tutti i cassetti del comò. Mise poi l'occhio su una piccola scrivania. Fece saltare la serratura e rovesciò tutte le carte sul letto: così si poteva cercare meglio.

  - Ma che fa? Aspetti. Procediamo con ordine. - gridò il commissario prontamente accorso.

  Ne seguì una serrata discussione fra il commissario e il maresciallo dei carabinieri nella quale non mancarono gli inviti da una parte e dall'altra di cambiare mestiere. Per la precisione, l'invito del maresciallo al commissario fu fatto con una vaga allusione; quello che seguì, del commissario al maresciallo, fu preciso e perentorio.  E anche infiorato di epiteti.

  - Distribuiamoci i compiti. - disse Novelli dopo che ebbe ristabilita la calma. - Lei, maresciallo, si occupi di tutto il vestiario, guardi nell'armadio e nel comò ogni vestito, ogni tasca, ogni cassetto e rimetta tutto in ordine. Possibilmente. Lei, brigadiere, prenda un po' di appunti per fare la descrizione della stanza, di tutti gli oggetti, delle misure eccetera. Lei, cancelliere, cominci a intestare il verbale e poi sfogli quei libri pagina per pagina e ne tiri fuori tutte le carte, lettere o cartoline che trova. Io e lei, dottore, esamineremo le carte della scrivania.

  Dopo due ore circa di lavoro, furono raccolte in un pacco tutte le lettere, le cartoline, gli appunti trovati.

  Novelli si occupò di raccogliere le fotografie.

  Egli solo s'accorse che c'era fra queste anche una fotografia di suo figlio.

  - Ora il pacco - disse Novelli, chiamando l'appello di tutte le sue forze per non gridare, - lo portiamo in cancelleria e domani cominceremo a esaminare meglio carta per carta. Lei intanto, dottore, - disse rivolto al commissario - interroghi quelle persone, di cui si è fatto l'elenco.

  Si guardò attorno. Non sognava. Eppure gli pareva che la sua voce provenisse da lontano, da un altro.  Si sentiva come su un palcoscenico, a disagio, dentro i panni di un personaggio che non capiva. E la parte bisognava recitarla fino in fondo.

  - Ora passiamo al verbale. - disse. - Scriva, cancelliere. Stanza dell'ampiezza di metri...

  Ha diciassette anni, mio Dio. Diciassette. Ed è perduto.  Sergio dunque?...

  - Nella parete di destra per chi entra si nota...

  Ma cosa è una fotografia? Cosa vuol dire una fotografia? No, come che vuol dire? In casa di uno che faceva quella vita. Io non l'ho saputo educare. Immerso nelle mie carte, nei miei processi. Che gli ho insegnato?  Che princìpi gli ho dato?

  - Il comò ha quattro cassetti. Nel primo di essi, cominciando dall'alto...

  Pochi anni fa, ricordo, quando aveva quattordici anni... ed avevo voglia di prenderlo in braccio e coccolarlo come un bambino, come il mio bambino... e mi era divenuto un giovanotto... un figlio giovanotto...

  - Tra un pacco di fazzoletti vengono rinvenute due lettere e una cartolina illustrata, tutte della stessa mano, firmate Gilbert...

  Quattordici anni. Sì, a un certo punto, mi dissi che era venuto il momento difficile per un padre. Mi rividi non ancora quattordicenne, sgomento dinanzi all'enigma della vita, ansioso di capire, di intendere, mentre una lieve impressione, un'allusione più o meno scoperta di un compagno, la più piccola sensazione rivoluzionavano il mio essere.

  Ecco, c'è arrivato anche Sergio, anche mio figlio. Devo devo aiutarlo. Aiutarlo. Ma come? Come?

  - Vengono ispezionati i vestiti appesi all'armadio sopra descritto e in una tasca di una giacca viene rinvenuto...

  Ricordavo i tormenti che mi arrecavano la fervida immaginazione e la calda primaverile ambigua, sì, ambigua, sensualità di adolescente. E la donna restava chimera lontana, irraggiungibile, sfiorata appena dall'ala dei sogni negli attimi segreti di voluttà. Che ho saputo dire a mio figlio? Mai, mai il coraggio di parlargli, di avvertirlo dei pericoli.

  Certo, certo, fidavo nella forza delle cose stesse. Si assesterà, si assesterà da sé, mi dicevo. Era stato così anche per me. Le preoccupazioni, le difficoltà finanziarie seguite alla morte di mio padre m'avevano maturato. Avevano collocato il problema sessuale al giusto posto nell'insieme delle cose della vita. Giusto?

  - Nella scrivania viene rinvenuto...

  Ma l'invadenza della vita del sesso tende a soffocare, negli adolescenti, nei giovani, ogni altro aspetto della vita. Nei giovani? Nei soli giovani?

Mi son detto tante volte che le gioie della materia non sono tutto, che il sesso non è il padrone e il supremo regolatore dell'esistenza. Che questa è verità assai difficile da attingere. Ma è verità?

  - Il tutto viene raccolto in un pacco, che viene sigillato e chiuso con l'apposizione della firma di noi giudice istruttore e del sottoscritto cancelliere...

  Che gli ho insegnato? La fede nel giusto, nell'onesto? Sì, con la boria, con la presunzione propria di noi giuristi, che crediamo di possedere la chiave, il senso dell'agire umano, m'ero detto che era questa la religione a cui credevo, la religione dell'onestà. A questa dovevo indirizzare mio figlio.

  E bravo! Mio figlio è mio figlio, mi dicevo, non può che essere come me: l'onestà e la dirittura morale, innanzi tutto. Idiota. Idiota e ipocrita.

  

* * *

 

  - Una bella sfacchinata oggi, - disse il cancelliere, quando furono in ufficio, - meno male che il morto ci scappa di tanto in tanto. In media uno l'anno. Vero, signor giudice?

  - Ah?  Sì, uno l'anno in media. - rispose Novelli, ma si sentiva che pensava ad altro.

  - Ma lei che dice - riprese il cancelliere - che lo scopriranno l'assassino questa volta? Io dico che faranno un buco nell'acqua come al solito. Si ricorda di quell'affittacamere dell'anno scorso?

  -Ah? Ah sì, l'affittacamere. Be' be', speriamo che la polizia ci riesca questa volta. Arrivederci, cancelliere. - tagliò corto Novelli.

  S'avviò verso casa.

  Tramontava. S'apriva, fra alcune nuove costruzioni, uno squarcio di cielo, su cui sovente gli accadeva di alzare gli occhi. Era tutto pennellato, come un irreale scenario, in rosa e azzurro. Lo stesso albero dai rami ancora spogli vi si dipingeva sopra nettamente.

  E in lui una stanchezza fisica e spirituale indicibile. Entrare in quello strano quadro e restarvi dipinto, al di fuori del tempo.

  Ma i piedi stanno dentro le scarpe, anche se dolgono, e l'uomo dentro il tempo e la realtà.

  Ecco, sempre la solita mania di sentenziare, anche quando si rimugina fra sé e sé. Forza, sempre trinciare giudizi. Che presunzione. In lui, in tutti. Forse la presunzione è connaturata alla cultura giuridica.

  Gli pareva di risentire la sua voce in camera dì consiglio. - E'- così! L'articolo tot va interpretato così! La Cassazione ha affermato così e così. L'imputato, per me, è colpevole.

  E si ascoltava. Forse gli piaceva ascoltarsi.

  Erano passati tanti anni dalla prima volta che egli aveva fatto parte di una corte d'assise. Era stato prima di passare all'ufficio istruzione.

  Perché se ne ricordava?

  Ah, sì, il processo Savarelli. Aveva pontificato, quella volta, in camera di          consiglio. I giudici popolari pendevano dalle sue labbra. - Come si può accettare la tesi della difesa? Ragioniamo, signori. - Quattro dei giudici popolari già inclinavano a ritenere Savarelli responsabile non di omicidio preterintenzionale, ma di abuso di mezzi di correzione aggravato dalla morte.

  - Ci hanno descritto - gli pareva di risentirsi - la vita del ragazzo, della vittima. Un discolo. Dedito ai furti, avviato sulla strada della delinquenza. Ebbene? E con ciò? Ci ha detto il difensore che il padre aveva il dovere di correggerlo. Ne conveniamo. Non di ammazzarlo. Ci hanno detto che l'averlo colpito ripetutamente con un bastone, causandone la morte, per emorragia cerebrale, non è stato che l'epilogo di un «iter» correttivo che esigeva mezzi sempre più drastici. Ma andiamo. Nei fatti precedenti, sì, possiamo crederci, c'era il fine correttivo. Ma nell'ultimo, no. Non si corregge, non si esercita l'«ius corrigendi» col bastone. Con un bastone, ognuno lo sa, ci scappano fuori per lo meno lesioni gravi. Si educa con l'amore e con la persuasione. E fin dai primi anni. Non col bastone e la brutalità.

  Dieci anni si era preso Savarelli. Per lo meno il doppio della pena che avrebbe avuto, se la Corte avesse accettato la tesi della difesa.

  Non si corregge col bastone. L'interprete del diritto, il presuntuoso: è così, la legge dice così, questo fatto umano va inquadrato in questo articolo.

  E invece si corregge, Savarelli, si corregge anche col bastone.

 

* * *

 

  Dario Novelli, man mano che si avvicinava a casa, passò dalla decisione di colpire suo figlio con un bastone a quella di dargli un paio di schiaffi, poi a quella di minacciarlo di ricovero in casa di rieducazione (per carità, che pensava? rovinarlo, sarebbe stato rovinarlo del tutto) ... no bisognava chiamarlo in disparte, interrogarlo con tatto, ammonirlo. E finì per non sapergli fare nemmeno un vago cenno su quanto gli crucciava l'anima.

  Quella notte non riuscì a prender sonno.

  Dio, i figli! Hanno il compito di spazzare via i genitori. Il secondo, nel tentativo di nascere, si era portata via con sé la madre e il primo era cresciuto per poter distruggere il padre.

  Ma forse esagerava.

  Forse suo figlio non conosceva nemmeno quell'individuo e chissà come quella fotografia era capitata fra le carte del Compelli. Probabilmente l'aveva avuta da altri.

  Altri? Ma chi frequentava Sergio?

  E se sapeva qualcosa del delitto? No, no, che idea pazza!

  Ma, poi, ragioniamo. Corrispondenza e fotografie trovate sarebbero servite a individuare la cerchia delle amicizie o delle semplici conoscenze dell'ucciso. Da questa cerchia potevano saltar fuori indizi.  Le persone, di cui si erano trovate lettere o fotografie, sarebbero state interrogate dalla polizia. Tutto qui. E questo non significava, certo, che tutta quella gente avesse dovuto, necessariamente, avere rapporti immorali con il Compelli e, meno che mai, che avesse una qualche relazione con l'omicidio.

  D'altra parte chi aveva il diritto di condannare suo figlio, anche se fosse risultato chiaro che era passato da una esperienza di quel genere? Aveva diciassette anni Sergio. Si è bambini a diciassette anni.

  Certo, moralmente... Sì, la morale un corno. Sempre questa parola in bocca a chi vuoi dettare leggi agli altri. E poteva lui dettare leggi morali a suo figlio?

  Certo, la sua vita, guardata dall'esterno, era irreprensibile. Ma, un tempo, egli aveva avuto rapporti con una donna sposata. E l'adulterio sta anche dentro il codice penale.

 

* * *

 

  Alzarsi, andare in tribunale (egli aveva la chiave del portone grande, ma dove l'aveva messa? doveva essere in qualche cassetto), aprire il pacco, togliere la fotografia di suo figlio.

  Novelli prese questa decisione per una diecina di volte lungo il corso della notte.

  Frode processuale. Quello che egli voleva fare aveva questo brutto nome. Che guaio è per un giurista conoscere il «nomen juris» delle azioni disoneste.

  Brutto o bello che fosse il nome, però, nessuno ne avrebbe saputo nulla. Non poteva consentire che suo figlio venisse interrogato dalla polizia.

  Se egli avesse lasciato che le cose andassero per il loro verso, una volta che si fosse saputo che Sergio era nell'elenco, se non degli indiziati, dei testimoni, di quel «tipo» di testimoni, egli avrebbe dovuto astenersi. Parlarne con il presidente, informarne, per correttezza, anche il procuratore della repubblica e poi fare l'istanza scritta di astensione, specificandone i motivi. «Gravi ragioni di convenienza» dice la legge.

  Oh, quant'è brava questa legge che ha per tutto un nome e per tutto un rimedio!

  E lo scandalo attorno a lui, attorno a suo figlio. Il fatto, c'è il figlio di un magistrato in mezzo, un magistrato in mezzo, si sarebbe ingigantito; il presidente avrebbe scritto alla Corte d'appello, la Corte d'appello al Ministero. Egli avrebbe dovuto chiedere un trasferimento.

  Bisognava impedirlo. Egli, egli stesso, avrebbe interrogato suo figlio. Non da padre, ma da giudice istruttore. E dalla sua risposta avrebbe saputo se non compromettere inutilmente il suo onore o se abbandonarlo al suo destino.

  Si alzò di buon'ora e arrivò in ufficio prima delle otto. Il pacco era sul tavolo del cancelliere. Restò alcuni minuti fermo, senza sapere che decisione prendere. Poi afferrò il pacco, lo portò sulla sua scrivania, lo slegò, aprì la busta che conteneva le fotografie e si cacciò quella di Sergio in tasca.

  Dopo un'ora circa sentì arrivare nella stanza accanto il cancelliere.

  - Già a lavoro, signor giudice? - disse Sciortino venendo a dargli il buon giorno.

  - C'è molto da fare, oggi, sa! Venga di qua con la macchina da scrivere e le detto l'elenco di tutto questo materiale sequestrato.

  Si fa l'elenco e non se ne parla più. Quello che c'è nell'elenco, c'è, e quello che non c'è, non c'è. La questione è chiusa.

* * *

 

  - Si può? - disse il commissario entrando.

  Quando Novelli rispose: - S'accomodi, - il commissario era già sprofondato su una poltrona ed emetteva sbuffi e sordi brontolii.

  - Cosa c'è? - chiese Novelli.

  - Bisognava sentire il questore stamattina. Cose da pazzi. Quello è matto. Lo giuro davanti a Dio, quello è matto. Ma cosa crede che ce l'avevo dentro la manica, l'assassino? To', qua c'è l'assassino.

  - E be', ci vuol pazienza coi superiori, dottore.

  - Quei fetentoni dei giornalisti! - rispose Trizzuto, dopo un'altra serie di sbuffi. - Ha visto, ha visto cosa hanno scritto oggi? Ci volevano quattro persone per tenerlo, il questore.

  - No, non ho letto il giornale ancora.

  - Questo è che lo ha fatto andare in bestia. Hanno dedicato mezza pagina a tutti gli omicidi successi in città e provincia, da dieci anni a questa parte, rimasti impuniti.  E un bel titolo: «Resterà ignoto anche l'assassino del Compelli?» Capisce, capisce che bel mestiere ti fanno quei signori? Uno li tratta bene, gli dà qualche notizia... quando si può. E loro? Ti ripagano così.

  - Ma, scusi, e perché se la doveva prendere con lei il questore?

  - Perché, perché... la stampa attacca la polizia, il prefetto ne chiede conto al questore e il questore scarica i suoi fulmini su me. Ed io devo subire.

  - E lei rimproveri, a sua volta, il maresciallo e i brigadieri. - disse Novelli con una punta di ironia, che scocciò un po' Trizzuto.

  - Ah voi magistrati, voi magistrati... - voleva aggiungere: «fate dello spirito, perché vi credete dei padreterni», ma si limitò a precisare: - non avete certe noie che toccano agli altri impiegati.

  - Lasci, lasci andare. - disse Novelli. - Pensiamo al da fare. Il cancelliere le ha preparato un elenco della corrispondenza sequestrata, con tutti gli indirizzi.

  Trizzuto prese in consegna una parte del materiale, che gli serviva per continuare le indagini; sbuffò ancora e concluse, prima di andarsene, che, se non veniva fuori una qualche lettera anonima con precise indicazioni, le cose si sarebbero messe male. Quelli che sanno, infatti, sono delle carogne e, per non avere noie, preferiscono far finta di niente.

 

* * *

 

  Non era possibile tacere con Sergio.

  Novelli, la stessa sera, lo chiamò nel suo studio e, senza preamboli, gli chiese:

  - Tu conoscevi il Compelli?

  - Sì, di vista. - rispose evasivo il ragazzo.

  - Questa è stata trovata in casa sua. - disse Novelli tirando di tasca la fotografia e sbattendola con forza sul tavolo sotto gli occhi di Sergio.

  Il ragazzo non si scompose.

  - Ma sì, figurati, - disse, scrollando le spalle, - eravamo un gruppo di amici che lo prendevamo in giro.  Era un idiota, poveretto. Ci faceva la corte...

  Sergio rise.

  - E noi - proseguì - ci divertivamo a dargli appuntamenti e a piantarlo in asso; a fargli credere che ci stavamo, mentre, naturalmente... Così, una volta, alcuni di noi gli abbiamo dato, per sfotterlo le nostre fotografie.

  Novelli guardava suo figlio sgomento.

  - Ma, papà... non mi credi? - riprese il ragazzo. - Ci si divertiva così, senza far nulla di male.

  Nulla di male, fece eco dentro di sé Novelli. La leggerezza e la superficialità di Sergio facevano terrore.

  La sua voce gli si era seccata in gola. Gli parve che non sarebbe stato capace di replicare nulla. Chinò lo sguardo sulla scrivania in cerca di un oggetto qualsiasi, per occupare le mani. Afferrò un libro e cominciò a sfogliarlo.

  Che padre da due soldi si sentiva. Non aveva saputo dare alcun contenuto a quell'anima ed ora non sapeva neanche trovare le parole giuste in una circostanza simile.

  - Posso tornare nella mia stanza a studiare? - chiese Sergio.

  - Ma ti rendi conto delle ore di angoscia che questa fotografia mi ha procurato?

  - Sei buffo, papà, scusami.  Ma ti pare che devi prenderti pena per queste sciocchezze?

  Sì, era buffo. Buffo e disonesto. Che poteva rispondere?

 

* * *

 

  E la lettera anonima, la provvidenziale, l'attesa, arrivò.  L'anonimo delatore dava indicazioni precise su una macchina, nella quale aveva preso posto il Compelli il giorno della sua scomparsa.

  La macchina risultò di un noleggiatore. Ma costui teneva il registro, su cui vanno annotati i nomi delle persone che prendono le macchine a nolo, nel più assoluto disordine.  Si era di nuovo in alto mare.

  Le indagini, dopo una settimana circa di inutili interrogatori, parvero arenarsi.

  Furono fermate tre o quattro persone ma, non essendo emersa alcuna prova a loro carico, fu necessario rilasciarle.

  Quando i carabinieri affermavano di essere su una buona pista, la questura faceva prontamente sapere che si trattava di una strada sbagliata. E viceversa.

  Novelli si persuase che bisognava, fra non molto, riempire uno stampato, completandolo con data, articolo relativo del codice, nome della vittima, stampato denominato sentenza, in cui sta scritto che il fatto è accaduto, ma se ne sconoscono gli autori.

  E il tutto sarebbe stato caricato a scaricato, ricaricato e riscaricato su vari registri, con destinazione archivio.

  Carta. E, su questa carta, polvere, tanta polvere. E pezzettini d'anima dentro. Ma, nell'archivio, sotto la polvere, non sarebbe andata, con le carte di quel processo, la sua angoscia.

 

 

LUIGI GRANDE

Vincitore della III edizione del Premio Letterario  Stradanova 1960 ( già «segnalato» nel '59).